Succedeva tutto in tempi e luoghi
molto lontani, quando la magia non era solo un mito dimenticato e l’onore era
una parola che non veniva sottovalutata. Vi erano giorni in cui la normalità
vibrava quieta e vi erano anche quei giorni in cui la normalità non esisteva
più.
Una fanciulla dal viso pallido
avanzava svelta per le strade di Houk, fissando un po’ le case di pietra, un
po’ quella stradina di ciottoli che portava ai campi. Si voltava indietro.
Temeva di essere seguita, dopotutto i suoi sensi la tormentavano.
“Figlia di strega” continuavano a
ripeterle e lei invano provava a trattenere le lacrime a quell’accusa, per
questo tutto erano del parere che lei si vergognasse della sua discendenza. La
cosa che costoro non sapevano era che lei stessa era una strega… una strega che
odiava il potere che avrebbe potuto scatenare e che avrebbe preferito essere
una semplice contadinella. Tremava per ciò che aveva fatto solo qualche attimo
prima.
Da lontano fissò i vasti campi
che si estendevano verdi nella notte, lungo tutto il sentiero che portava fuori
dal villaggio sino al fiume. Un fiume dove la graziosa fanciulla avrebbe
volentieri voluto annegare. Un ontano segnava la posizione di una piccola
fattoria, distante ancora delle miglia, da cui brillava una luce altalenante
come una candela che veniva smossa dal vento.
Si fermò un attimo a guardare in
quella direzione. I suoi occhi scuri brillavano risoluti e le sue labbra si
comprimevano fra di loro in una smorfia nervosa, in quel momento dal cappuccio
del mantello le scivolava via un ricciolo dal color dell’oro, forse ancora più
brillante. Un sospiro e tornò a camminare.
«Thomas!» vociò bussando alla
porta di legno scuro «Apri, ti prego»
Il giovane che aprì la porta era
un bel ragazzone dagli occhi limpidi ed i capelli scompigliati che gli
ravvivano il viso asciutto. La sua espressione quando incrociò lo sguardo di
lei fu piena di compassione. Le aggrappò le spalle e cauto chiese: «Che
succede, Phidelia?»
Il suo tono, la sua voce
rassicurante, il modo in cui la strinse… come poteva Phidelia non abbandonarsi
a lui? Si lasciò stringere cominciando a singhiozzare disperata, per un attimo
provò a parlare ma dalla sua bocca uscirono solo dei singhiozzi soffocati,
infine si ricompose. Lo guardò in viso. «Quel bastardo di Delavis ha provato a
mettermi le mani addosso» mugolò e i suoi occhi si riempirono di maggiore
disperazione «ho lottato, Thomas, mi sono solo difesa… ma l’ho ucciso!
Fulminato dai miei poteri»
«Come fulminato?»
«Un attimo prima il cielo era
limpido e sereno, dopo io urlavo e scalciavo ed un fulmine è caduto giù proprio
su di lui. Sembra strano ma so di averlo evocato io!» mugolò lei.
Si guardarono. I loro occhi
dicevano cose che a parole non si sarebbero mai confessati. Chinandosi contro
il suo viso il giovane Thomas Ferwill le baciò una guancia e con le dita andò
ad asciugarle gli occhi. Entrambi sapevano cosa stava per accadere.
«Se ti trovano ti metteranno…»
non osò finire la frase che si riscosse. Amava quella fanciulla, strega o non
strega, non poteva permettere che le accadesse qualcosa… non senza lottare.
«Prendi il mio cavallo e vai» comandò.
«Non senza di te»
«Sai che quella bestia è vecchia,
col peso di entrambi verrà rallentata.» fu chiaro lui, la squadrò con una certa
dose di sarcasmo e le prese il viso fra le mani «Se prendi il mio cavallo io
posso discolparmi, se prendono te non me lo perdonerò mai. Morirei di dolore.
Io me la caverò».
Consapevole di non aver altra
scelta Phidelia osservò quel viso incoraggiante, consapevole che era l’ultima
volta che vedeva quegli occhi e quel sorriso. Le lacrime le scivolavano calde
come sgorgassero da sole, le sfioravano le guance lasciando scie di bagnato e
rischiaravano la disperazione sul suo volto. Le labbra le tremarono per un
istante. «Ci rivedremo. Tornerò.»
«Ti aspetterò» sussurrò lui
dolcemente.
Volgendosi alla porta lei ci
sperò davvero. Indietreggiò di un passo e tornò a scrutare il suo volto. «Stai
attento!» si raccomandò. Lui annuì e lei poco convinta gli tornò a fianco. Si
buttò fra le sue braccia e si lasciò stringere un’altra volta.
Le loro guance bagnate da lacrime
amare e i loro singhiozzi disperati. Avevano avuto così tanto tempo per
conoscersi e così poco per amarsi.
«Vai ora!» disse Thomas
spingendola verso la porta «Sella il cavallo, io metto dei viveri in una
sacca».
Di certo in quella sacca di tela
sbiadita c’era tutto ciò che serviva alla bella fanciulla, lei ne era
consapevole ma sapeva anche che tutto quello che desiderava sarebbe rimasto lì,
a Houk… nel dannato villaggio di Houk. Le belle passeggiate con Thomas, le
risate mentre cavalcavano lungo il fiume, il loro silenzioso guardare le
stelle. “Perché mentre fissavamo le stelle non ho detto più cose? Perché non
gli ho confidato quanto lo amo?” si chiedeva Phidelia cavalcando via. Si voltava
indietro di tanto in tanto e le sembrava già di udire il verso dei cani issati
al suo inseguimento, forse anche da così lontano poteva udirli davvero! Solo
quando il villaggio di Houk fu lontano si rese conto di come stava
singhiozzando e si malediva per quello che era successo.
Non cavalcò per molto tempo
quando un’improvvisa fitta le colpì il petto, sofferente si aggrappò al collo
del vecchio animale chiazzato. I ciuffi della criniera scura le solleticarono
il viso ma non bastò a farla ridere. Quei suoi oscuri poteri non solo l’avevano
cacciata in quel guaio, le tolsero anche tutte le speranze di rivedere un
giorno il suo amato.
I rantoli soffocati di Thomas
smorzavano il silenzio mentre tre guardie armate tutte di pugnale lo fissavano
con sguardo crudele. Per terra, con le mani si teneva la gola dalla quale
sgorgavano scie di sangue, fissava con gli occhi sbarrati i suoi assassini.
Dimenandosi provò ancora a parlare, avrebbe voluto dirgli che Philedia era
salva e gli era sfuggita ma riuscì solo d emettere un suono strozzato che
sembrava più un verso animalesco. Provava un bruciore alla pelle ed era come se
il sangue all’interno della sua bocca lo stesse soffocando. Riprovò due volte
ma non gli usciva nulla più di quei rantoli. Odiava il fatto che quelli lo fissassero
morire con scherno. Le sue labbra già paonazze si allargarono in un sorriso e
con le ultime forze che aveva riuscì a parlare. «Mai» sibilò e mentre i suoi
occhi diventavano vitrei. Ne era davvero convinto, non sarebbero riusciti a
riprendere la sua amata… mai!
Un urlo si levò dalla foresta.
Fra gli alberi alti e maestosi,
ancora a cavallo, la bella Phidelia urlava disperata. Le lacrime invadevano le
sue guance setose e il dolore si era fatto padrone del suo viso, il suo
colorito si era infiammato di una rabbia disperata e di tormento. Si volse
indietro e poi tornò a fissare avanti. Avrebbe voluto tornare indietro ma
qualcosa, forse nel suo animo buono, la tratteneva.
«Perché non sono crudele come
loro?» urlò. La sua voce tremava e la rabbia di non aver più il suo Thomas ad
aspettarla era un senso di colpa che si aggiungeva alla sua coscienza, l’unica
a parlarle nella silenziosa solitudine.
Prese a cavalcare. Una sola cosa
aveva resa serena la morte di Thomas, lei lo aveva visto in quel sorriso, la certezza
che non l’avrebbero trovata mai più. “Non lo faranno!” si ripeteva e con le
lacrime calde che le sembravano sgorgare “Per Thomas, non mi farò bruciare al
rogo… da nessuno!”.
I giorni passavano lenti e fin a
quel momento Phidelia aveva rispettato i voleri del suo amato, nessuno l’aveva
raggiunta nonostante avessero provato ad inseguirla. Le sue condizioni però
erano pessime, non era riuscita a mangiare quei panetti di segale che lui le
aveva messo nella sacca e nemmeno a prender sonno. Si sentiva un vuoto dentro e
riviveva ogni volta che chiudeva gli occhi il momento in cui la vita aveva
abbandonato gli occhi di Thomas, il cambiamento vivido di quelle pupille scure
che si spegnevano assumendo man mano un colorito vitreo come se la morte vi
avesse messo sopra uno strato di orrenda membrana che va dal bianco al colore
del ghiaccio. Inorridiva ogni volta che ci ripensava. In sogno aveva visto come
avevano trattato al villaggio il corpo di Thomas… legato in piazza e poi
bruciato.
«Non se lo meritava… vorrei
tornare e ucciderli tutti» ripeteva nei suoi pensieri. Era riuscita da
quell’orrenda visione del suo Thomas fra le fiamme ad avvertirne il tremendo
puzzo di carne che bruciava… non un arrosto ma carne umana.
I suoi poteri le avevano sempre
fatto vedere la morte, ed anche la vita ma chissà perché le rimaneva impressa
nella mente solo la morte. Quante persone a lei care aveva visto morire.
Durante il suo viaggio scivolò in
uno stato di odio e disperazione tale da fissare un precipizio e pensare di
buttarsi… quanto male può fare volare giù nel vuoto a braccia spalancate? Alla
povera Phidelia sembrava che di certo non poteva far male come tutto ciò che
aveva vissuto, i suoi occhi svuotati dalle lacrime lo ammettevano sinceri,
eppure qualcosa la spingeva ad esitare.
Prese un sospiro e si lanciò.
Spalancò le braccia.
Il vento le accarezzò il viso
mentre i capelli sventolavano verso l’alto, sul suo viso c’era un sorriso
sollevato e le lacrime di gioia le accarezzarono gli occhi.
Per qualche attimo tutto le parve
scorrere veloce.
All’improvviso una luce la
accecò.
Due grandi ali candide come la
neve si ergevano attorno la figura di un uomo dai bellissimi capelli scuri e
lunghi. I suoi occhi erano profondi eppure chi li guardava non sarebbe riuscito
a scorgerne il giusto colore. Indossava un’armatura dorata con un rosso
mantello brillante e nel cinturone si poteva ammirare una splendente spada
dall’impugnatura intarsiata di gemme.
«C-chi sei?» balbettò Phidelia.
«Sono colui che viene a spiegarti
ciò che tu sei!» rispose, e la sua voce era calma e suadente come poche altre
cose al mondo «Ti sei difesa ed hai ucciso, ma ti sei mai chiesta perché non
sei tornata al villaggio a vendicarti?».
La giovane scosse la testa.
«Da quelli come te, Phidelia,
nascono gli angeli. Strega solo perché i poteri che Dio ti donò sono forti e
incontrollabili»
«Ma io vedo più il male che il
bene?»
«Cosa credi che siano gli
angeli?» chiese con un sorriso e senza darle il tempo di rispondere «Gli angeli
non sono altro che uomini che hanno amato, sono stati amati, hanno vissuto e
sofferto. E dal dolore e le difficoltà hanno imparato la pietà; dalla tristezza
e la paura appresero la comprensione e dalla morte appresero come usare con
giustizia e generosità il loro potere». Le porse la mano e dolcemente le
domandò: «Phidelia, sei pronta a divenire un angelo?»
La fanciulla fissò quel viso così
perfetto e poi la mano che questo le porgeva. Una strada serenità le pervase
l’anima e d’impeto aggrappò quella mano.
Si sollevarono verso il cielo.
Lanciando uno sguardo verso il
basso Phidelia osservò per l’ultima volta il suo corpo. La testa rotta ed i
capelli bagnati di sangue, la sua posa tranquilla quasi dormisse. Fu percossa
da un attimo di euforia nel vedere, per una volta, la morte su sé stessa.
Quel guerriero angelico la portò
verso il cielo che sembrava accoglierla con porte soffici e bianche in un
azzurro tenue mentre il vento sembrava essersi fermato per non disturbare
quella scena tranquilla.
Per l’ultima volta sulla terra
Phidelia sorrise, felice che un angelo la stesse elevando al cielo.