martedì 24 gennaio 2017

Due poliziotti e il mostro

Gli stava schiacciando l'addome.
Il respiro gli veniva a mancare. Più si agitava, più faticava a prendere aria. Per questo apriva la bocca, almeno boccheggiando gli sembrava di respirare meglio, mentre qualche rivolo di saliva gli scivolava agli angoli della bocca. Pregava che non fosse sangue!
Davanti ai suoi occhi spalancati c'era un mostro tanto nero che sembrava fatto d'ombra. I denti aguzzi e la bocca larga. Non sembrava avere occhi ma lui aveva visto con precisione che da qualche parte, in quella faccia tetra, brillavano due spaventosi occhietti scuri!
Ora era sopra di lui ma Edgar non avrebbe saputo spiegare quando era saltato fuori dal corridoio buio, sapeva solo che mentre si stava avvicinando alla porta della sua camera da letto a un certo punto quella cosa si era scagliata su di lui.
La prima vera sensazione che il giovane architetto aveva provato era stata nausea: l'alito di quel mostro era pestilenziale. La seconda fu terrore e che ci si creda o no, la terza che era semplice rassegnazione fu ben peggiore delle altre.
Si era già rassegnato a morire.
Nonostante non capiva cosa fosse quella creatura che lo aveva assalito, sapeva già che non sarebbe sopravvissuto. Forse sarebbe morto prima ancora di capire di cosa si trattava.
Non era di certo un lupo mannaro.
Non sembrava per nulla un vampiro.
Pensò ai non morti, agli spettri ma non riuscì ad associarlo a qualcosa di concreto... la verità era che non aveva letto o visto nulla di simile nemmeno nei libri o nei film più spaventosi.
"Forse perché è sopra di me..." arrivò a pensare.
Si rese conto che quello lo aveva immobilizzato con tutto il suo corpo. Ci provò a muoversi ma gli sembrò che il peso di quella cosa gravasse maggiormente sul suo addome.
Provò a guardare se a schiacciare il suo petto c'erano delle mani o delle malefiche zampe artigliate, dopotutto delle unghia affilate sembravano arricchire quella tortura.
L'aria gli mancò. Per un attimo pensò che qualunque cosa ci fosse a tenerlo fermo, gli avrebbe schiacciato l'addome fino a comprimere anche gli organi interni.
Iniziò così a piagnucolare mentre gli sembrava di sentire le sue ossa scricchiolare.
«Farò quello che vuoi! Non perforarmi gli organi!» vociava.
Sembrava che quello premesse con maggiore forza, o addirittura che iniziasse a pesare ancora di più. Pareva quasi che più suppliche sentisse, più cercava di schiacciarlo.
Accusò un dolore acuto.
Sentì un rivolo di liquido caldo scivolare giù per la guancia. Stavolta era sangue, ne era certo. Doveva davvero avergli perforato un organo, forse si era rotta la costola e il peso era arrivato sul fegato o sui polmoni.
"Sì forse i polmoni, visto che non respiro più" pensava ancora Edgar. Prese aria e pregò il mostro di liberarlo, di non ridurgli lo stomaco in pezzi.
Il mostro gli alitava in faccia. Il suo alito puzzava di carne putrida e nel buio un luccichio gl'illuminò gli occhi. Spostò apposta tutto il suo peso in avanti iniziando a ringhiare con una voce stridula.
Quella voce era persino peggio del peso, così acuta e irritante. Iniziò a pregarlo di smetterla, e arrivò persino a pregarlo di ucciderlo.
A un certo punto un "crack" avvisò che le costole avevano ceduto. Gli artigli del mostro si piantarono all'interno del torace del povero uomo. Questo aveva urlato di dolore.
Le orecchie sanguinavano. Gli sembrava che quel ringhio gli perforasse il cervello, tanto gli doleva la testa. Sentiva che l'udito veniva a mancargli come se i timpani si stessero disintegrando, forse stavano proprio per esplodere!
Si lamentò. Era certo di aver mugolato ma non aveva sentito la propria voce... era quasi certo di aver perso l'udito.
Il mostro aprì la bocca in un ringhio famelico. La sua voce era vibrata nell'aria ma le orecchie di Edgar non l'avevano potuto udire.
Terrorizzato da quell'infausto silenzio il giovane architetto immaginò che gli artigli di quella creatura l'avrebbero trafitto. Un brivido gli fece rizzare tutti i peli in corpo.
Pensò di supplicarlo, per un attimo era stato tentato di cedere al mostro la sua anima in cambio della vita. Poteva di certo vivere senza anima... al mondo ci sono tantissime persone che sembrano non averla!
Fece per parlare ma la lingua gli si fermò. Non riusciva a dire nulla terrorizzato com'era.
La creatura levò al cielo quella specie di zampa che si ritrovava e con un semplice, violento movimento, lo graffiò su spalla e petto. I suoi artigli lo trafissero strappandogli parte delle membra.
Alcuni brandelli della sua stessa carne ricaddero sul corpo, ora inerme, di Edgar. Non era ancora morto eppure il suo sangue nelle vene era ghiacciato come se lo fosse. Il terrore che quei pezzi di carne avevano acceso nella sua mente era indescrivibile perché sapeva già che tutto il suo corpo sarebbe stato ridotto in una carcassa sanguinante, lasciato per terra a imputridire.
"Mi sbranerà! Mangerà i miei organi interni!" si ripeteva. Un acuto pensiero che gli martellava la mente, era anche l'unico rumore che riusciva a udire.
I denti affilati della creatura brillarono nel buio.
Urlò. Stavolta la sua voce uscì forte e stridula. Pregava perché i vicini lo sentissero, anche se probabilmente poco avrebbero potuto fare per salvarlo da quella cosa.
Riuscì persino a trovare il coraggio di provare ad alzarsi. Provò a spingere via il mostro, ci tentò davvero, eppure era così pesante da non essersi mosso minimamente.
L'espressione di quell'essere sembrava divertita come se vedere gli assurdi tentativi del prigioniero fossero cose ridicole, tanto da rallegrarlo dall'oblio a cui apparteneva .
"Mi sbranerà" ripeteva con terrore la voce di Edgar nella sua testa. Incessante, martellante, assumeva quasi un crudele tono masochista!
Il mostro si spinse in avanti e con i suoi denti affilati morse tra la spalla e il collo. All'inizio un semplice morso, poi strinse e strinse. I denti penetrarono le carni e già con la bocca poté sentire il sapore della sua vittima, quando furono sprofondati in quelle membra tirò verso sé.
Il pezzo che strappò da quel corpo sanguinò per la stanza accompagnando il movimento circolare di quelle fauci.
Ancora il giovane architetto urlò.
Al mostro non sembrava dare nessun fastidio né quella voce stridula, né il tremolio della vittima, anzi masticava con espressione soddisfatta. Per dispetto mangiava lentamente, gustando i momenti più saporiti.
Il dolore affliggeva il giovane architetto. Un altro morso lo aveva appena privato del braccio e la debolezza gli stava dando un'idea della quantità di sangue che perdeva.
Il mostro continuò a infierire finché Edgar non perse i sensi consapevole che ormai era più morto che vivo.

Una volante della polizia si fermò davanti a quella casa dal portone scuro. I due agenti erano giovani ma promettenti, di loro si diceva che avessero un grande futuro dinnanzi alla loro strada.
Tyler Mede era alto e magro. Un volto allungato, sempre serio e posato.
Oliver Urano invece spiccava per la sua carnagione olivastra e i folti capelli mossi, ribelli e ingestibili.
Entrambi scrutarono le finestre chiuse. Sembravano barricate dall'interno.
I vicini che avevano avvisato la polizia erano radunati sul viale, alcuni in pigiama e ciabatte, altri dovevano aver trovato il tempo per vestirsi frettolosamente. Vedendo la volante fermarsi un paio di questi si avvicinarono.
«Abbiamo sentito delle urla terribili!» disse ansiosa una donna di mezz'età. Era avvolta da una vestaglia di flanella color fragola e sembrava spaventata.
«Non si preoccupi, diamo un'occhiata noi» fu gentile Tyler.
Oliver si era già diretto alla porta.
Tutti i presenti lo guardavano seri.
«Quante persone abitano in casa?» domandò Tyler.
L'anziana si voltò a guardarlo. L'espressione seria. Sembrava proprio non osare rispondere. Guardò uno dei vicini rispondere per lei.
«Solo un giovane» aveva risposto quell'uomo robusto sui cinquanta.
Le finestre e la porta erano chiuse, sprangate. Non c'erano luci accese e non si udiva nessun rumore.
«Polizia, aprite la porta!». La voce dell'agente Tyler Mede rimbombò come il tonfo di un sassolino lanciato in un burrone.
Nessuna risposta.
Ora il poliziotto bussò con convinzione. Urlò ancora il cognome dell'uomo che aveva letto sulla buca della posta. Bussò ancora.
Allerta, in cerca di ogni possibile segnale, Oliver cominciò a perlustrare le finestre spostandosi anche al lato della casa. Gli saltò subito all'occhio quel vetro insanguinato.
«C'è del sangue su una finestra» disse tornando dal collega. Lo disse sottovoce, non voleva far preoccupare la gente del posto.
«Sfondiamo la porta!» vociò in risposta Tyler.
La minaccia non continuò poiché, per i due, un avviso fu più che sufficiente.
Iniziarono con le spallate. Uno a destra e l'altro a sinistra. A chi li guardava sembravano sincronizzati, e forse lo erano davvero!
I cardini della porta si allentarono e la superficie sembrò iniziare a pendere su un lato. Fu allora che bastò un semplice calcio ben assestato da Oliver e questa piombò per terra permettendo ai due agenti di vedere l'interno della casa.
C'era buio all'interno. Tutto taceva.
Tyler avanzò di qualche passo all'interno della casa. La pistola stretta in mano, in guardia, pronto a difendersi.
Come al solito Oliver restava indietro. Era lui quello che gli guardava le spalle e che monitorava ogni operazione, anche la più piccola!
«Quale finestra?» chiese frettoloso Tyler.
Certi agenti lo ritenevano un tipo brusco e maleducato ma Oliver sapeva come era solito comportarsi fuori dal lavoro e capiva che durante le operazioni di qualunque tipo, tendeva a essere concentrato solo su quello che era il loro dovere. Non esitò. «Dovrebbe essere la terza stanza sulla destra» rispose.
«Polizia, stiamo entrando» urlò quello avanzando verso la stanza giusta.
La vista si era già abituata a quel buio.
Contarono silenziosamente le porte, le stanze e forse anche i secondi che passavano in silenzio.
Le loro pistole erano pronte a sparare se ve ne fosse stato bisogno.
Anche da fuori non si udiva alcun rumore. I vicini dovevano per forza essere zitti in attesa dei due agenti.
Una scia di sangue si illuminò quando Tayler accese la luce del corridoio. Un corpo insanguinato doveva essere stato trascinato disumanamente.
«Un pazzo...» disse a bassa voce Oliver.
Tayler non rispose ma aveva appena pensato la stessa cosa.
Entrarono nella stanza, brandendo in aria le armi.
«Mani in alto!» aveva urlato Tayler.
Sorpresa delle sorprese... un corpo giaceva riverso sul pavimento.
Il braccio allungato verso la finestra. Forse aveva provato ad aprirla ma l'unica cosa che era riuscito a fare era stato lasciare una traccia di sangue sulla finestra poi Edgar era caduto per terra, vittima della sua paura.

I medici legali erano stati chiari: quelle tracce di sangue che Oliver e Tayler avevano visto non esistevano, non ve n'era proprio traccia, e il giovane architetto si era accasciato a terra stremato da un infarto.
I vicini giurarono e spergiurarono che Edgar aveva urlato a più non posso, in preda al terrore; e i due agenti avevano visto la paura nei suoi occhi sbarrati.
Quello che nessuno sapeva è che quella notte a Edgar era apparso un mostro che tutti noi conosciamo ma che non abbiamo mai visto attaccare qualcuno così accanitamente: la paura!

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